venerdì 16 dicembre 2011

Accadde oggi. 16 Dicembre 1989. Inizia la rivoluzione rumena.

La Rivoluzione rumena del 1989 fu quell'insieme di proteste che, sul finire del 1989, portarono al crollo, in Romania, del regime comunista del dittatore Nicolae Ceauşescu. Le proteste, sempre più violente, raggiunsero il culmine con il processo e l'esecuzione di Ceausescu e della moglie Elena.
Negli altri Paesi del blocco comunista dell'Europa orientale il passaggio alla democrazia avveniva in quegli anni in modo pacifico: la Romania fu l'unico Stato del Patto di Varsavia nel quale la fine del regime ebbe luogo in modo violento.
Il 16 dicembre ebbe luogo a Timişoara una manifestazione di protesta al tentativo del governo rumeno di espellere un dissidente ungherese, il pastore riformato László Tőkés. Il pastore aveva recentemente criticato il regime tramite i mass media stranieri e il governo considerò il gesto come un incitamento ai conflitti etnici. Su richiesta del governo, l'episcopato rimosse Tőkés dal sacerdozio, privandolo così del diritto di utilizzare l'appartamento legittimamente ottenuto in quanto pastore. Per qualche giorno i fedeli di Tőkés si radunarono intorno alla sua abitazione per proteggerlo. Molti passanti, compresi anche studenti religiosi, si associarono alla protesta, inizialmente senza conoscere i veri motivi e scoprendo solo in seguito che era contro un nuovo tentativo del regime comunista di reprimere la libertà religiosa.
Quando fu evidente che la massa non si sarebbe dispersa, il sindaco Petre Mot dichiarò che avrebbe riconsiderato l'espulsione di Tőkés. Ma nel frattempo la folla era notevolmente aumentata e, quando Mot rifiutò di confermare per iscritto la dichiarazione contro l'espulsione del pastore, i manifestanti iniziarono a cantare slogan anticomunisti. Le forze dell'esercito (Miliţia) e della Securitate, chiamate per bloccare la protesta, nulla poterono di fronte all'imponente numero di manifestanti. Alle 19.30 la protesta si era estesa e la causa iniziale stava passando in secondo piano. Alcuni protestanti tentarono di incendiare l'edificio che ospitava il comitato distrettuale del Partito Comunista Rumeno (PCR). Fu a questo punto che la Securitate rispose con il lancio di lacrimogeni e getti d'acqua, mentre la Miliţia caricò i manifestanti, procedendo all'arresto di diverse persone. La massa si spostò verso la Cattedrale Metropolitana, ma da qui continuò imperterrita per le vie di Timişoara, nonostante nuove cariche delle forze dell'ordine.
Le proteste continuarono anche il 17 dicembre. Alcuni manifestanti riuscirono a penetrare nella sede del comitato distrettuale e gettarono dalle finestre dell'edificio documenti del partito, brochure di propaganda, scritti di Ceauşescu e altri simboli del potere comunista. Quindi tentarono nuovamente di incendiare l'edificio, ma questa volta furono fermati da unità militari. Il significato della presenza dell'esercito sulle strade era chiaro: gli ordini provenivano direttamente dall'alto, probabilmente dallo stesso Ceauşescu. Nonostante l'esercito avesse fallito nel tentativo di ristabilire l'ordine, la situazione a Timişoara era divenuta drammatica: spari, vittime, risse, automobili in fiamme, TAB che trasportavano forze della Securitate e carri armati. Alle 20.00 si stava ancora sparando tra la Piazza della Libertà e l'Opera, specie nelle zone del ponte Decebal, Calea Lipovei e Calea Girocului. Carri armati, camion e TAB bloccavano l'accesso alla città mentre gli elicotteri sorvegliavano la zona. Dopo mezzanotte le proteste cessarono. I generali della Miliţia Ion Coman, Ilie Matei e Stefan Gusa ispezionarono la città che sembrava uno scenario di guerra, con edifici distrutti, cenere e sangue.
Il mattino del 18 dicembre il centro era sorvegliato da soldati e agenti della Securitate in borghese. Il sindaco Mot sollecitò una riunione del Partito all'Università, allo scopo di condannare il "vandalismo" dei giorni precedenti. Decretò anche l'applicazione della legge marziale, vietando alla popolazione di circolare in gruppi più numerosi di 2 persone. Sfidando i divieti, un gruppo di 30 giovani avanzarono verso la Cattedrale ortodossa, dove fluttuarono bandiere rumene cui era stato tagliato lo stemma comunista. Immaginando di venire crivellati dai fucili della Miliţia, i 30 manifestanti iniziarono a cantare "Deşteaptă-te, Române!" (l'attuale inno nazionale rumeno), all'epoca vietato dal 1947 e la cui esecuzione in pubblico era punita dal codice penale. I militari, raggiunti i giovani, fecero immediatamente partire una raffica di mitra che uccise alcuni di loro, ferendone gravemente altri. Solo pochi fortunati riuscirono a fuggire, mettendosi in salvo.
Il 19 dicembre, gli inviati del governo Radu Balan e Stefan Gusa visitarono i lavoratori delle fabbriche di Timişoara, ormai entrati in sciopero, ma fallirono nel tentativo di farli tornare a lavorare. Il 20 dicembre massicce colonne di lavoratori entrarono in città: oltre centomila protestanti occuparono la Piazza dell'Opera e iniziarono a urlare slogan anti-governamentali. Nel frattempo Emil Bobu e Constantin Dascalescu furono designati da Elena Ceauşescu (Nicolae Ceauşescu si trovava in quel momento in visita ufficiale in Iran) per incontrare una delegazione dei manifestanti: di lì a poco il confronto avvenne, ma i due rifiutarono di ascoltare le rivendicazioni del popolo e la situazione rimase immutata. Il giorno successivo treni carichi di lavoratori delle fabbriche dell'Oltenia (regione storica della Romania meridionale) raggiunsero Timişoara: il regime aveva cercato di usarli per affogare la protesta, ma alla fine questi si associarono agli altri manifestanti.
Gli avvenimenti di Timişoara venivano raccontati nei notiziari delle radio Vocea Americii e Radio Europa Libera, ascoltate clandestinamente dai rumeni e dagli studenti che tornavano a casa per le festività natalizie.
Esistono tanti punti di vista sui fatti di Bucarest che portarono alla caduta del regime Ceauşescu. Uno vuole che una parte del Consiglio Politico Esecutivo (CPEx) del Partito Comunista Rumeno avesse tentato, fallendo, una fine indolore del regime, similmente a quanto avvenuto negli altri Paesi del Patto di Varsavia, ove la classe dirigente comunista si era dimessa in massa permettendo lo sviluppo dei nuovi governi in modo pacifico. Un altro vuole che un gruppo di ufficiali militari organizzarono con successo una cospirazione contro Ceauşescu. Tanti ufficiali affermarono di aver fatto parte di una simile cospirazione, ma le prove di questo scenario sono assai poche. Le due teorie non si escludono necessariamente a vicenda.
Resta il fatto che il 22 novembre, allorché si era aperto a Bucarest il XIV Congresso del Partito Comunista Rumeno, il presidente sovietico Gorbačëv aveva inviato un messaggio di felicitazioni al PCR nel quale tuttavia auspicava una serie di cambiamenti. L'evidente contrasto tra Gorbačëv, fautore della Perestroijka, e Ceauşescu, propugnante un sempre più marcato isolamento della Romania, si palesò specie con l'invito fatto dal primo al secondo di dimettersi. Il 23 novembre, allorché fu rieletto con unanimità dei consensi, Ceauşescu rispose duramente a Gorbačëv, accusando oltretutto l'URSS di ingiustizie perpetrate nei confronti del suo Paese all'indomani della fine della seconda guerra mondiale, quando la Bucovina del Nord e la Bessarabia, regioni storicamente legate alla Romania, erano state annesse all'Unione Sovietica, formando la Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia.
La questione di un'eventuale dimissione apparve nuovamente il 17 dicembre 1989 quando Ceauşescu chiese al CPEx di decidere le misure necessarie per soffocare la rivolta scoppiata a Timişoara. Stando alle testimonianze dei membri CPEx Paul Niculescu-Mizil e Ion Dinca, a questa riunione (analogamente a quanto a suo tempo era avvenuto in Bulgaria e in Germania Est), due membri non furono d'accordo con l'uso della forza per la soppressione delle proteste. Come risposta Ceauşescu propose le sue dimissioni e chiese ai membri del CPEx di scegliere un nuovo capo dello Stato. Tuttavia alcuni membri, tra i quali Gheorghe Oprea e Constantin Dascalescu, gli chiesero di rinunciare alle dimissioni e di revocare i due che si erano opposti alle sue decisioni. Lo stesso giorno Ceauşescu partì per una visita ufficiale in Iran, lasciando le redini della risoluzione della rivolta di Timişoara nelle mani della moglie Elena e di altri suoi fidati.
Tornato dall'Iran il 20 dicembre, Ceauşescu trovò il Paese in una situazione deteriorata. Alle 19:00 fece una dichiarazione da uno studio televisivo della sede del Comitato Centrale, nel quale etichettava i protestanti di Timişoara come nemici della Rivoluzione Socialista.
Secondo le memorie di un membro delle strutture di allora, dopo la rivolta di Timişoara, un gruppo di generali della Securitate approfittò dell'opportunità per lanciare un colpo di stato a Bucarest. Il colpo di stato, in preparazione sin dal 1982, fu inizialmente pianificato per la vigilia di Capodanno, ma in seguito se ne decise l'anticipazione per approfittare degli avvenimenti favorevoli. Il capo della cospirazione, il generale Victor Stanculescu, faceva parte della cerchia vicina a Ceauşescu e, secondo varie fonti, sarebbe stato lui a convincere Ceauşescu a tenere il discorso di fronte alla sede del Comitato Centrale nella piazza Gheorghe Gheorghiu-Dej circondata da armi automatiche telecomandate. Durante il discorso le armi avrebbero dovuto sparare a caso sopra la folla, che i propagandisti avrebbero dovuto istigare a cantare slogan contro Ceauşescu.
Alle 12:30 del 21 dicembre Ceauşescu si rivolse a una folla di 100.000 persone condannando la rivolta di Timişoara. Parlando dal balcone del Comitato Centrale, il Conducător parlò dei risultati della rivoluzione socialista e della «società socialista plurilateralmente sviluppata» della Romania. Il popolo, tuttavia, rimase indifferente e solo le file frontali sostenevano Ceauşescu con applausi. La sua mancanza di comprensione degli avvenimenti e la sua incapacità di trattare la situazione emersero nuovamente quando offrì, in un atto di disperazione, l'aumento degli stipendi dei lavoratori della ridicola somma di 200 lei e continuò a lodare le realizzazioni della Rivoluzione Socialista, non riuscendo ad accettare che la rivoluzione si stava svolgendo proprio di fronte a lui.
Improvvisamente il rumore delle armi da fuoco e le fughe di panico delle file laterali della folla, trasformarono la manifestazione in caos. La massa, inizialmente spaventata, tentò di disperdersi. I cospiratori ne approfittarono per far girare tra le persone la notizia che la Securitate stava loro sparando addosso e che stava iniziando la rivoluzione contro Ceauşescu, chiedendo pertanto a quanti più possibile di unirsi. In breve alla folla di piazza Gheorghiu-Dej si affiancarono strali di gente da ogni parte della città, trasformando quello che era nato come raduno in un vero e proprio inizio di una rivoluzione contro il dittatore.
Ceauşescu, la moglie e altri ufficiali e membri del CPEx che assistevano al discorso a fianco del Conducător sul balcone, presi dal panico rientrarono nell'edificio. La televisione di Stato, che trasmetteva in diretta il discorso, interruppe le trasmissioni, per nascondere l'agitazione che ormai stava nascendo: ma i telespettatori avevano visto abbastanza per intuire che stava accadendo qualcosa di insolito.
I tentativi dei coniugi Ceauşescu di riguadagnare il controllo sulla folla usando formule come «Alo, alo» o «State tranquilli ai vostri posti» entrarono nella storia. La massa di rivoltosi si era ormai sparsa per le strade di Bucarest, e al contempo nelle altre maggiori città della Romania stavano nascendo moti di protesta. La gente urlava slogan anticomunisti e anti-Ceauşescu come «Giù il dittatore!», «Morte al criminale!», «Noi siamo il popolo, giù il dittatore!» o «Timişoara! Timişoara!». Alla fine i protestanti invasero il centro, da Piazza Kogalniceanu fino a Piazza dell'Unione, Piazza Rosetti e Piazza Romena. Sulla statua di Mihai Viteazul in Corso Mihail Kogălniceanu, vicino l'Università di Bucarest, un giovane sventolava la bandiera rumena senza lo stemma comunista.
Col passare del tempo scendeva in strada sempre più gente. Presto i protestanti, disarmati e privi di organizzazione, furono accolti da soldati, carri armati, TAB, truppe USLA (Unità Speciali per la Lotta Antiterrorismo) e ufficiali della Securitate in borghese. Spari sulla folla giungevano dagli edifici, dalle strade laterali e dai carri armati. Molte furono le vittime per fucilazione, accoltellamento, maltrattamento o schiacciate dai veicoli dell'esercito (un TAB aveva travolto la folla uccidendo un giornalista francese). I pompieri bloccavano la massa con getti d'acqua potenti e la polizia caricava e arrestava la gente. I protestanti riuscirono a costruire una barricata di difesa davanti al ristorante Dunarea, che resistette fino a mezzanotte, ma fu in seguito espugnato dalle forze governative. Gli spari continui si udirono fino alle 3:00 del mattino quando i superstiti abbandonarono le strade.
Testimonianze dei drammatici eventi furono raccolte con le foto fatte dagli elicotteri che sorvolavano la zona e da numerosi turisti che si erano rifugiati nella torre dell'Hotel Intercontinental.
elle prime ore del 22 dicembre Ceauşescu pensò che i suoi tentativi disperati di sopprimere le proteste fossero riusciti. Tuttavia alle 7:00 sua moglie Elena ricevette la notizia che un gran numero di lavoratori di molte piattaforme industriali stavano avanzando verso il centro di Bucarest. Le barricate della Miliţia che dovevano bloccare l'accesso verso la Piazza dell'Università e la Piazza del Palazzo si dimostrarono inefficienti. Alle 9:30 la Piazza dell'Università era già colma di persone, ma, per motivi tutt'oggi sconosciuti, i militari inviati per soffocare la rivolta si unirono ai manifestanti.
Alle 10:00, quando la radio stava annunciando l'introduzione della legge marziale e il divieto di circolazione dei gruppi di più di 5 persone, centinaia di migliaia di protestanti si radunarono di propria iniziativa nel centro di Bucarest. Ceauşescu, che aveva provato a rivolgersi alla folla dal balcone del Comitato Centrale, fu accolto da bordate di fischi e feroci disapprovazioni. Frattanto alcuni elicotteri lanciarono manifesti nei quali si chiedeva alla gente di non partecipare ai recenti tentativi di sommossa, andando a casa a festeggiare il Natale.
La stessa mattina, tra le 9 e le 11, il ministro della difesa Vasile Milea morì in circostanze misteriose. Un comunicato diramato da Ceauşescu affermava che Milea era stato giudicato colpevole di tradimento e che si fosse suicidato dopo essere stato scoperto. A lungo, la teoria più popolare fu che Milea sarebbe stato assassinato per mano dello stesso Ceauşescu, in risposta al rifiuto di eseguire gli ordini del dittatore. Tuttavia, un'ulteriore indagine realizzata tramite la riesumazione del cadavere nel novembre 2005 accertò che Milea effettivamente si suicidò, sparandosi con la pistola di un proprio subordinato.
Dopo il suicidio di Milea, Ceauşescu nominò nuovo ministro della Difesa il generale Victor Stanculescu, che dopo una breve esitazione accettò. Stanculescu ordinò alle truppe di ritirarsi e dopo alcune ore, data la criticità della situazione, persuase Ceauşescu alla fuga in elicottero. Rifiutando di applicare gli ordini repressivi di Ceauşescu, Stanculescu aveva praticamente realizzato un colpo di stato militare.
Ceauşescu e sua moglie Elena lasciarono la capitale insieme ad altri due collaboratori di fiducia, Emil Bobu e Tudor Postelnicu. La meta era la residenza di Ceauşescu a Snagov, da cui proseguire per Târgovişte. Il pilota, cui uno dei collaboratori teneva una pistola puntata alla testa, riuscì però a convincere i passeggeri a scendere prima, informandoli falsamente che la contraerea aveva intercettato l'elicottero, minacciando di abbatterlo. La scusa era plausibile, avendo l'esercito rumeno chiuso lo spazio aereo sopra il Paese, e i Ceauşescu vennero fatti atterrare presso una fattoria. Dopo una rocambolesca fuga, Nicolae e Elena Ceauşescu furono bloccati da una pattuglia della polizia mentre stavano scappando in automobile. I poliziotti trattennero i coniugi Ceauşescu nella volante, attendendo notizie dalla radio circa l'esito degli scontri tra forze governative e ribelli. Quando ormai fu chiara la vittoria di questi ultimi, i poliziotti consegnarono il dittatore e la moglie all'esercito. Trasportati in una scuola elementare di Târgovişte, il 25 dicembre i due furono processati da un tribunale militare istituito ad hoc e condannati a morte per una serie di accuse, tra le quali il genocidio. La sentenza fu immediatamente eseguita nel cortile dell'edificio. Il processo e il finale dell'esecuzione furono diffusi il giorno stesso in televisione.
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